OSLA, preso atto della proposta di legge sulla riforma pensionistica presentata dal Governo, pur capendo e condividendo la necessità di intervenire sul sistema pensionistico, ritiene che il documento proposto non sia conforme alla dichiarazione dei diritti dei cittadini né a regole di equità.
Critichiamo innanzitutto la tempistica, dopo un incontro nei primi di agosto senza una bozza di legge, a metà marzo arriva la bozza che, a sentire il Segretario di Stato competente, diverrà legge entro l’estate, senza i tempi necessari per confrontarsi su numeri e proiezioni. E’ chiaro che bisogna parlare di numeri e questi devono essere digeriti ed assimilati; il progetto di legge ci sembra fortemente disequilibrato verso le imprese e, soprattutto, verso le imprese individuali e i lavoratori autonomi.
La disparità tra quanto versano i datori di lavoro, rispetto a quanto versato dai dipendenti, rimane enorme e gli interventi sulle pensioni attualmente erogate sono insufficienti.
Nonostante le rassicurazioni avute negli incontri estivi, si sceglie la strada dell’aumento del costo del lavoro dipendente che, insieme all’aumento contributivo per le aziende individuali e liberi professionisti, colpirà fortemente le Piccole e Medie Imprese.
Portare la tassazione contributiva sino al 25%, ai quali vanno aggiunti il Fondiss e la tassazione ordinaria e aumentare i contributi sui dipendenti a carico delle imprese, significa la morte e la cessazione delle imprese svolte in forma individuale. Non si comprende come sia possibile pensare che chi esercita ’attività in forma individuale possa sanare l’intero sistema; i numeri non sembrano dire questo.
Passi l’aumento dell’età pensionabile, ma un limite al prelievo ci vuole. Considerato che nella nostra normativa le pensioni hanno un tetto (oggi di 46.000 €) e la contribuzione avviene fino a 100.000 per tutti, che senso ha che lo Stato, che dovrebbe con la pensione garantire una vita dignitosa dopo il lavoro, voglia spolpare gli autonomi e non lasciare nulla, se non una pensione ridicola per chi avrà versato molto? Il non superamento del tetto massimo è inaccettabile e, oltre ad allontanare professionalità importanti, a nostro avviso ha anche vizi di costituzionalità.
Fortemente iniquo anche il trattamento delle pensioni ad oggi erogate, rispetto alle future pensioni e la modulazione del contributo di solidarietà; serve un patto generazionale che porti ad un maggiore contributo per tutte le pensioni “medio/alte” (dai 2500 ai 4000 euro mensili) che sono la maggior parte delle pensioni ad oggi erogate e quelle più tutelate dal progetto di legge presentato, così come si deve equiparare l’abbattimento fiscale dei redditi da pensione rispetto a quelli da lavoro.
La riforma pensionistica, per essere efficace, non può essere separata da altre importanti e necessarie misure: la spending review e l’applicazione dell’ICEE che, se interverrà su alcune spese sociosanitarie, potrebbe migliorare la situazione di alcuni fondi ISS e, quindi, scongiurare gli aumenti contributivi ed un progetto per il rilancio dell’economia del Paese; se pensiamo di poter intervenire su pensioni e aliquote, senza investire nello sviluppo delle imprese e, quindi, dell’occupazione, il risultato sarà solamente una recessione economica ed un conseguente peggioramento della situazione dei fondi pensione.
In sostanza il meccanismo deve essere rivisto, inutile una delle solite “leggine” che tra 4 o 5 anni dovranno essere ancora riviste perché non toccano le filosofia di un sistema finito e destinato fin da ora ad essere cambiato radicalmente. Così facendo non si raggiunge lo scopo, si deprime ulteriormente l’economia e si perde competitività.